venerdì 18 novembre 2016

L'epatite B

Epatite B: tra prevenzione e danni
Il virus dell’epatite B (Hbv), è un virus a Dna appartenente alla famiglia degli Hepadnaviridae. L’infezione da Hbv è, nella maggior parte dei casi, asintomatica, mentre l’evoluzione dell’infezione in malattia presenta esordio insidioso. Il tasso di letalità è pari a circa l’1%, ma la percentuale aumenta nelle persone con età superiore ai 40 anni.
Nell’adulto può cronicizzare in circa il 5-10% dei casi. Il rischio di cronicizzazione aumenta al diminuire dell’età in cui viene acquisita l’infezione; nel 20% dei casi l’epatite cronica può progredire in cirrosi epatica nell’arco di circa 5 anni. Il cancro al fegato (epatocarcinoma) è un’altra complicanza frequente dell’epatite cronica, soprattutto nei pazienti con cirrosi.
La sorgente d’infezione è rappresentata da soggetti affetti da malattia acuta o da portatori cronici, che presentano il virus nel sangue ma anche in altri liquidi biologici: saliva, bile, secreto nasale, latte materno, sperma, muco vaginale, ecc.
La trasmissione avviene:
  • attraverso il sangue (pertanto per via parenterale, apparente o non apparente)
  • per via sessuale
  • per via verticale da madre a figlio
L’epatite B viene trasmessa attraverso il sangue o i liquidi corporei quali sperma, secrezioni cervicali ed essudati delle ferite e la saliva di individui HbsAg-positivi.
Il sangue e il siero però contengono le concentrazioni più alte del virus e la saliva le concentrazioni più basse. Il liquido contaminato deve entrare a contatto col sangue attraverso la pelle (per via percutanea) o attraverso le membrane mucose, quindi se la cute è integra non vi sono rischi. Il periodo di incubazione varia fra 45 e 180 giorni, ma si attesta solitamente fra 60 e 90 giorni.
Dal punto di vista della prevenzione esiste un vaccino obbligatorio in Italia dal 1991. La vaccinazione è fortemente raccomandata per i gruppi di popolazione a maggior rischio d’infezione (tossicodipendenti, conviventi di portatori cronici, personale sanitario, ecc).

Vaccino: prevenzione o no?

Secondo i dati forniti dal progetto Seieva che dal 1985 segue, per l'Istituto Superiore di Sanità, l'andamento dei dati epidemiologici relativi alle epatiti virali in Italia, nella fascia d'età interessata dalla vaccinazione di massa il numero dei casi di epatite B ogni 100.000 abitanti è rimasto pressoché invariato per anni dopo il 1991. Già prima della vaccinazione di massa la malattia era in nettissima diminuzione. L'epatite B quindi non ha risentito minimamente, in quella fascia d'età, della vaccinazione di massa. E' interessante notare che questo trend è simile anche per le fasce d'età dove non è imposto l'obbligo.
Nel calo dei casi di epatite B hanno giocato un ruolo molto importante fattori come i controlli effettuati su sacche di sangue provenienti da donatori, il miglioramento di misure igieniche negli ospedali e campagne informative rivolte ai tossicodipendenti).
Bisogna sempre ricordare che il 5 - 10% delle persone non risponde alla vaccinazione con adeguati titoli anticorpali per cause genetiche, immunosoppressione, malattie croniche concomitanti. Ricordiamoci che i “non responder” veri sono diversi dai “waning anti-HBs responder”, persone in cui l'immunità decade nel tempo, nella migliore delle ipotesi si rimane coperti per 10-12 anni circa, come ci ricorda questa dispensa.

Reazioni avverse al vaccino anti-epatite B

Dal report del VAERS possiamo notare che nel periodo 1991 – 2001, “Hepatitis B (HEP) vaccine had the second highest distribution (>200 million net doses) but an overall reporting rate of 11,8 reports per 100 000 net doses distributed. “ - Il vaccino anti-epatite b fu il secondo maggiormente distribuito (>200 milioni di dosi) ma una segnalazione di reazioni avverse di circa 11,8 per 100.000 dosi DISTRIBUITE, quindi non quelle effettivamente usate, quindi il tasso potrebbe essere addirittura più alto. - 36.788 furono le reazioni avverse riportate nel periodo tra il 1992 ed il 2005, 14.800 delle quali erano così serie da comportare ospedalizzazione, rischio di morte o disabilità permanenti. Risultò anche un totale di 781 decessi.
  • La malattia celiaca rientra a quanto pare tra quelle patologie per cui, se anche si vaccinasse, si rischierebbe una mancata risposta adeguata al vaccino. Nel caso si segua una dieta gluten free si alzano le probabilità di avere una risposta adeguata, ma rimangono probabilità, come è evidente da questo studio.


Fonti

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